Il vento è forte e la mano non sente più niente. Per scattare la foto ho dovuto togliere un guanto, ma non volevo perdere l’immagine di Tom e Karim che passano oltre il crepaccio terminale, prima dell’ultima conca glaciale per arrivare a campo 3. Negli anni ho perso parte della sensibilità al polpastrello dell’indice destro, a forza di fotografare e riprendere in condizioni estreme. Questa volta scatto usando il medio. Una folata più forte, la neve si alza e mi oscura la visuale, porto la mano sotto l’ascella per riportare le dita in temperatura. Mi abbasso controvento per resistere al vento, poi mi rimetto in piedi facendo attenzione a non perdere anche questa macchina fotografica. Guardo verso l’alto, Tom mi sta raggiungendo. Mi dà una pacca sulla spalla e io ricambio, come a dirgli che siamo quasi arrivati.
“Tom, some years ago I was here alone, I was really crazy!”
Lui mi guarda, il suono delle mie parole si perde nel vento, ma un gemito mi tradisce, un’emozione mi ha afferrato all’improvviso: non avrei mai creduto che ci sarei tornato davvero, che qualcuno avrebbe creduto al folle sogno dello Mummery. Lui capisce, poi mi spinge per continuare a cercare la via in mezzo al dedalo di crepacci che ancora ci separa dal campo 3.
Riparto sicuro di quello che sto facendo e consapevole che in questa fase di acclimatazione ogni cosa appare più dura. Il fatto di non essere del tutto acclimatati ci fa sentire più freddo, più fatica, più paura, più indecisione. In tanti anni di esperienza in alta quota, ho capito che l’assenza di ossigeno in condizioni estreme incide in maniera decisiva sulla nostra capacità di ragionamento e di mantenimento della determinazione, di focalizzazione sull’obiettivo stabilito, di gestire il corpo. E questo altera la percezione di ogni cosa. Solo un distacco, organizzato e allenato, da ciò che si prova e da ciò che ci trasmettono i nostri sensi permette di restare al limite della vita, al limite del congelamento organico, per poter accedere a energie profonde che vanno al di là della materia e ci permettono di proseguire.
È tecnicamente impossibile sopravvivere al ‘wind-chill’, all’alta quota, alla stanchezza, all’inverno del Karakorum senza attingere a risorse più nascoste dentro il nostro essere.
Per farvi un esempio, qualche anno fa avevo una bottiglia di tè bollente dentro la tuta in piuma e mi ritrovavo in una situazione simile, non ero ancora acclimatato, ero stanco dopo ore di scalata, avevo indossato tre strati a pelle, una giacca in piuma e sopra tutto una tuta in piuma. Bene, la bottiglia di tè dopo alcune ore si era congelata, perché io no? La temperatura a 6000 metri era di circa 35 gradi sotto zero, il vento e l’effetto wind-chill probabilmente avevano portato la temperatura a un percepito di -50 gradi. Come poteva essere che il mio sangue non si stesse piano piano congelando?
Accade qualcosa negli sport estremi che non è ancora stato completamente decodificato e che all’apparenza sembra inspiegabile. Ha a che fare con la forza vitale stessa? Con l’elan vital? O solo con effetti energetici fisici con cui noi trasformiamo parte delle nostre calorie non in movimento ma in calore per sopravvivere?
È opinione ed esperienza di tutti quelli che sono stati in quota che quando si passa due volte dallo stesso percorso, la percezione della seconda volta, anche a parità di condizioni atmosferiche, non è la stessa della prima. La seconda appare più semplice, meno paurosa, meno al limite della sopravvivenza. E’ facile sentir dire a un alpinista, dopo che è salito su un ghiacciaio in fase di acclimatazione, che la discesa è sembrata quasi banale. Un esempio fra tutti, la nostra salita a campo 3. Per arrivare a campo 3 abbiamo dovuto fissare un campo 1 a 4700m circa, un campo 2 a 5100m e poi su fino a campo 3 a 5725m. Eppure ieri, immersi nella nevicata, siamo scesi in poche ore direttamente da campo 3 fino al campo base, a 4100m.
C’è un’altra forza antagonista nascosta, l’ignoto. Tutto ciò che è ignoto genera una pressione mentale che ferma spesso le azioni anche dei più arditi. Come nella vita, quando dobbiamo affrontare un nuovo lavoro o qualcos’altro, siamo tesi, concentrati, preoccupati, fintantoché non ci buttiamo e alla fine ci rendiamo conto di che cosa è e ci diciamo: era tutto qui?
La stessa cosa accade quando si fanno attività estreme, con l’aggiunta che se sbagli…ti fai molto male.
Ho pensato e studiato anni interi per cercare di trasformare la ‘metafora dell’alpinismo’ in qualcosa che potesse aiutare le persone ad affrontare situazioni ignote ed estreme, non solo in ambito sportivo ma nella vita quotidiana. ‘Scala te stesso’ è un mantra che mi ripeto sempre in queste situazioni. ‘Scala te stesso e ricordati che puoi controllare ciò che stai provando’.
Parole forti da dirsi mentre l’idea che ‘in questa giornata si è già fatto tanto’ sta oscurando le più rosee aspettative di raggiungere campo 3.
Faremmo male a tornare indietro? Il vento tira forte, siamo in giro da tre giorni, abbiamo fatto un sacco di lavoro e non sono sicuro di trovare spazio per piantare la tenda. Se avessi più tempo a disposizione potrei cercare con calma, ma il tempo incalza e il buio si avvicina.
Come si gestisce la tentazione di tornare indietro, che si afferma con maggiore forza nella tua testa man mano che la quota, il freddo, la stanchezza, l’ignoto corrodono la determinazione?
Lascio correre i pensieri, mi distacco dalle sensazioni corporee e guardo in faccia il mondo esterno nella maniera più oggettiva possibile. Mi fermo, respiro profondamente e poi ci metto un pizzico della follia costruita negli anni.
“Tom, Karim, don’t worry, it’s up there”.
Poi faccio uno scatto, chiedo un sforzo ulteriore a polmoni e gambe per non lasciare spazio all’indecisione di piazzare la tenda da qualche parte che non sia campo 3, perché so che campo 3 esiste. Si va avanti.
Guardo i miei compagni e spero di avere ragione, spero che il ghiacciaio non sia cambiato troppo. Il pendio finale sale diritto su, in faccia ai seracchi sommitali. La salita non finisce mai, al contrario della forza nelle gambe che sento pian piano venire meno. Karim ha un’espressione distrutta, lo vedo accasciarsi sulla piccozza per riprendere fiato. Tom fa un gesto incredibile, prende i 3 chili di corda che Karim ha appeso sul proprio zaino e se li carica sulle spalle. Poi dà un colpo di reni e riparte alla grande.
Continuo a battere la traccia e a puntare all’obiettivo, quando mi accorgo che i pensieri mi stanno togliendo energia. Decido che è il momento di non avere più dubbi, cosi l’idea malsana di abbandonare e scendere, che aveva già perso forza, a quel punto viene eliminata del tutto.
Mi chiudo in me stesso e passo dopo passo raggiungo il crepaccio dove so che possiamo montare campo tre. Tutto è cambiato ma dentro il crepaccio c’è spazio per una tenda. L’emozione è forte e mi libero di una sensazione difficile da reggere, la responsabilità di aver portato così in alto due compagni senza la certezza chiara di una piazzola per la tenda. Siamo a sinistra delle seraccate sommitali, protetti da un seracco, proprio di fronte al canale di ingresso del mio sperone Mummery. Quando grido che abbiamo lo spazio per campo 3, vedo Karim in lontananza, il suo sguardo si è rilassato, più volte mi aveva chiesto dove avremmo messo la tenda. Tom mi raggiunge, ci abbracciamo. Un abbraccio breve e forte.
Poi cominciamo a scavare nel crepaccio e nella neve per ricavare lo spazio per la tenda. Una volta che è arrivato anche Karim, la fissiamo per bene.
Scaldo la radio per comunicare con il campo base che siamo arrivati. Mi risponde Rahmat, che per un mal di gola ha deciso di scendere al campo base. Con lui ieri abbiamo fissato le prime corde e trovato la strada nel grande ghiacciaio.
“Congratulations” dice Rahmat e dietro il gracchiare della radio percepisco un pizzico di emozione nella sua voce.
Scaldo il satellitare mentre Karim e Tom stanno manovrando per montare la tenda. Il telefono si accende e si spegne, troppo freddo. Dopo averlo tenuto 20 minuti dentro la tuta, alla fine decide di accendersi e attaccarsi ai satelliti. Per far funzionare il satellitare bisognerebbe tenerlo al caldo tutto il giorno ma per me è impraticabile, quando scali avere troppe cose che ti ingombrano non agevola.
Chiamo mia moglie: “Come sta Mattia?”
“Cresce, e tu dove sei?”
“Siamo arrivati ora a campo 3, abbiamo una tendina da due molto piccola, Tom scende per lasciarci spazio, preferisce acclimatarsi meglio, io ho già passato due notti a campo 1 a 5100m. Stiamo bene, restiamo su io e Karim. Ora devo andare che la mano non regge più, ti aggiorno più tardi”.
“Sai che è brutto domani?”
“Domani nevica, ma la mattina è abbastanza buono per scendere o forse per fare due tiri sullo sperone”. Silenzio. “Ok, aggiornami più tardi”.
La tentazione di salire non mi fa riposare. Tom ci saluta e scompare oltre la cornice. Anche se so che è fortissimo e che è abituato ad andare da solo, mi viene un groppo alla gola
“Scalda la batteria della radio appena arrivi a campo 2, magari riusciamo a comunicare”,
“Va bene, dormo lì”.
Ma non riusciremo a comunicare. Nella tenda accendiamo il fornelletto, sciogliamo la neve e la prima operazione che facciamo è scaldare i piedi fino al punto di tornare a sentirli. Poi metto i calzari di piuma e mi infilo nel sacco a pelo. D’inverno è difficilissimo tenere il sacco a pelo asciutto. Durante la notte il respiro, il vapore del fornello, la brina che si condensa nella tenda e la neve che filtra dall’apertura lo rendono una specie spugna bagnata. Passiamo delle ore ad asciugarlo ma il risultato è sempre accettabile solo per queste situazioni estreme. Ho sete e bevo dal thermos un misto di vitamina C, sali minerali e tè. Faccio giusto in tempo a vuotare un sacchetto di plastica pieno di frutta secca, e ci vomito dentro, a ripetizione.
Stanchezza? Quota? Freddo? Disturbi? Paura? Terrore che una valanga di distrugga la tenda in questo punto?
Dopo aver vomitato non riesco più a mangiare, il mio ricarico calorico di oggi sono stati una barretta energetica, mezzo pacco liofilizzato e alcune mandorle.
Se fosse solo una questione fisica potremmo veramente reggere a tanto?
“Stai meglio?” mi chiede Karim.
“Avevo qualcosa che non andava nello stomaco già dalla notte scorsa”
“Ho visto. Nella toilette di campo 2”.
Scoppiamo a ridere tutti e due.
“Mi piacerebbe fare due tiri sullo sperone domani, che ne dici? Se stai meglio?”
“Qualche anno fa a un paio di tiri da qui ho lasciato una bottiglietta con un messaggio, appena sopra il tiro chiave della partenza. Mi piacerebbe poterlo ritrovare. C’era un messaggio”
“E cosa c’era scritto?”
“quando la troviamo te la leggo”
Era un’ispirazione, un pensiero per A.F.Mummery. Al pensiero mi commuovo.
Le luci si spengono mentre l’adrenalina continua a scorrere. Sento Karim agitarsi e la mattina è lunga da raggiungere. Alle 7 ci svegliamo.
“ho mal di testa d’alta quota” mi dice Karim. Fuori ci sono nuvole, un po’ di vento e nevica leggermente. Facciamo colazione, asciughiamo scarponi e guanti prima di uscire. Un caschetto ci cade e va a finire nel fondo del crepaccio. Ci guardiamo, uno dei due dovrà scendere a reuperarlo.
Fissiamo una corda e mi calo dentro il crepaccio, il buco è chiuso sul fondo e riesco a prendere il caschetto. Nel salire quei pochi metri mi rendo conto quanto mi siano costate queste giornate in alta quota, il fatto di non aver mangiato quasi nulla, di essere stato male. Non ho energie.
“Karim, è meglio scendere, siamo deboli oggi ed il tempo non è buono. Filippo mi ha detto che oggi nevica, non molto ma…”
Karim era già pronto: “sì è meglio, i due tiri li facciamo la prossima volta.”
‘Scala te stesso’ mi dico, mi distacco, recupero energie, affino le percezioni, ci metto un pizzico di follia e poi concludo: “La bottiglietta può aspettare”. Scalare se stessi non siginifica essere suicidi. E’ un modo di valutare le situazioni in condizioni estreme, una metodologia, un protocollo testato.
Senza scorciatoie o giustificazioni apparenti, riuscire a rendere oggettiva il più possibile la situazione per prendere la decisione corretta anche nelle situazioni più difficili.
Non significa ‘andare a tutti i costi’, significa essere efficaci, risparmiare le energie, guardare all’obiettivo e raggiungerlo nella maniera più diretta.
Fatico a trattenermi dal non salire più su, ma poi ci buttiamo giù dal pendio e in un attimo siamo a campo 2, poi campo 1 e alla fine campo base.
E’ vero, sono un alpinista anomalo, mi piace sondarmi e condividere sensazioni, strategie che, per quel poco che vale, per me funzionano. Mi affascina conoscere anche le parti più nascoste che ci navigano dentro, che ci penetrano, che ci motivano o ci distruggono mentre compiamo qualcosa di estremo, al limite della vita.
Per anni ho cercato nei libri di alpinisti non solo le descrizioni tecniche di come hanno fatto a scalare le montagne più difficili e dure, ma anche come hanno affrontato i loro demoni. Mentre è stato facile trovare la tecnica, è stato molto difficile trovare le loro battaglie interiori. Le vie più incredibili, le linee più estetiche nascono da due battaglie, una tecnica e una interiore.
Un saggio maestro di arti marziali diceva: “La prima battaglia va vinta dentro se stessi”. Mai nessun mantra per me è stato ed è più grande di questo. Ogni battaglia prima di essere combattuta fuori deve essere vinta dentro, è come vincere quel senso di incertezza generato dall’ignoto dell’esito finale.
Ognuno di noi nasconde dentro di sè una paura atavica, inconfessabile, che ci teniamo stretti e che pur di non dire saremmo disposti a morire. Una paura con la quale ci confrontiamo e lottiamo costantemente ogni giorno.
E’ un amica? Ci salva la vita? Oppure ci annienta e ci blocca sempre di più?
Per me ha a che fare con tre cose: la comunicazione, il controllo e la leadership.
Durante ogni scalata le nostre comunicazioni sono secche, dirette, senza troppi giri di parole ma profonde, piene di intenzione, modulate per vincere le barriere della distanza, del vento, del fragore dell’ambiente, della nostra stanchezza. Quando atterrano nell’altra persona creano un impatto notevole. Quando fai 50 metri di scalata, con il vento, chi è sotto a farti sicura è pronto e ha già capito le tue intenzioni pur non sentendoti bene, pur parlando un Pakistan-English o un Italian-English (beato Tom che parla uno Scottish-English ;-)). L’intenzione di ciò che vuoi fare o di cosa ha bisogno il compagno non passa solo attraverso le parole ma attraverso la condivisione e l’energia che si è creata nella cordata. Atterra nell’altro quasi come se scorresse attraverso i trefoli di Nylon della corda, a farne da amplificatore la situazione estrema che si sta vivendo.
Chi ne è veramente consapevole? Come fare a esserlo per far si che sia un strumento efficace per continuare a scalare e ridurre i rischi?
In poche ore con Karim raggiungiamo il campo base. Ad aspettarci tutto lo staff del campo base, i poliziotti, i cuochi e soprattutto Tom e Rahmat. Ci gustiamo la cena, guardiamo un paio di film al computer per lasciare che l’esperienza si sedimenti e lasci spazio a una nottata ristoratrice.
Karim dice: “Se guardi su, sembra facile, ma il ghiacciaio è veramente ripido e difficile”.
Sorrido e annuisco.
“Good night to all!” diceTom e va a dormire. Anch’io vado a dormire, accendo il fornello per intiepidire la tenda, poi chiamo casa. In pochi secondi mi si chiudono gli occhi e le tenebre mi avvolgono. L’ultimo pensiero va a mio figlio appena nato e al desiderio di lasciargli il mondo migliore di quello che ho trovato io. Non capita anche a voi di pensarlo e di volerlo?
#ScalaTeStesso #AnnientaITuoiLimiti
#ThinkBIG #SiamoConTe #Save4YourPassions
#Mummery #resilienza #climb #nangaparbat #winter #storyteller
#SportForNature #youthforhumanrights
Ciesse Piumini ConTe.it Comparasemplice.it Utopia2000 @margutta Muso a muso
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Siete grandi…in bocca al lupo…
Fino a in cima!!!!
Complimenti Daniele, belle parole lette con piacere e leggerezza. In bocca al lupo per tutto e per buone ascensioni
Buon proseguimento a voi tutti Daniele!
Anche a me capita di pensarlo, si, e penso che anche condividere questi aspetti personali e interiori come stai facendo aiuti a migliorare la visione dell’Uomo nel Mondo. Esperienze così estreme non siete in molti a farle, e è bello che chi non le fa veda la tenacia di persone come voi, per riviverla nella vita comune.
La bottiglia ti aspetta, hai fatto bene!
Bello leggerti… Grandissimo!
Tante verita’…..quel capirsi e ascoltarsi anche senza tante parole…lo si proca anche nelle “facili” avventure ..ed e’ il bello della montagna
Bravissimi, avanti così.
In bocca al lupo Daniele!
Fino alla cima, se possibile. L’importante e tornare al campo base!
Emozionante dalla prima all’ultima parola
Vai Daniele Vai!
È stato come rimanere in apnea……leggere tutto d’un fiato e poi pensare che siete ancora là…..
Forza Daniele Forza Tom Forza Karim.
Che pazzi che siete , comunque ormai vi seguo. non ci capisco nulla di alpinismo ma ho capito che li è durissima. Ho visto qualche fin film che mi ha dato idea di come ve la passate. Come cavolo fate, io con un po’ di freddo sto male. Complimenti davvero. Sono curioso e fiero di avere un italiano li in cima. Notte
Bravi leggendoti mi sembrava di sentire il tuo freddo,il vento e le tue paure!!! Veramente grandi!!!sonia
In. Bocca allo yeti 🙂
Grande Daniele un abbraccio da Tutti noi
Straordinario davvero!
Spero che scriverai un altro libro al ritorno!
Vi auguro tanta forza e consapevolezza per il resto della vostra scalata!
Sei un esempio Daniele dai che ci seii
Eroe.dai che e’ la volta buona️♀️
Vai grande. . Vai fin su. . Portaci tutti in cima. .
Ciao a tutta la Squadra , vi seguo da giorni e ogni giorno é senpre piu avvicente e avventurosa la avventura . Non vi conosco un giorno spero di incontrarvi e conoscervi . Vi abbraccio forte .
È stato veramente molto emozionante leggere le tue parole. Che sono sempre chiare e piene di fiducia, di forza e di incoraggiamento. É estremamente interessante la riflessione sulla forza interiore. Chi ha passato dei momenti difficili e ha avuto la fortuna di confrontarsi dentro sa cosa dici e senti. Io credo che oltre ad essere degli atleti preparati e fisicamente molto forti a certe quote dove l’aria è al 15 max 20% ci debbano essere delle risorse interiori, energia, che permettano di farvi sopravvivere. Spero tu e la squadra possiate vivere questa avventura proprio con lo stile sereno che hai dichiarato nella presentazione dell’impresa, un’ esperienza per superare i propri limiti ma anche per rispettarli qualora le condizioni oggettivamente siano troppo pericolose e mettano a rischio ciò di più prezioso che abbiamo, la vita. In fondo non devi dimostrare niente a nessuno, grande sei e un grande uomo rimarrai. Un abbraccio davide
spingersi così oltre, avendo una famiglia a casa che ti ama e potresti non rivedere. Non credo possa esistere una risposta esaustiva. Noi ti facciamo un grosso in bocca al lupo nella realizzazione del tuo sogno.
Va bene così!
Va bene così! Toccati il naso con un dito!
Vengo da una passione opposta alla tua. Invece di scalare montagne esploro fondali marini. Ti auguro di farcela questa volta e di portarci tutti in vetta dal mummery. Forza Daniele!
Ormai é un appuntamento fisso leggerti e seguire la tua avventura. Hai doti notevoli anche come scrittore…anni fa ho letto “Aria sottile” e ritrovo nelle tue parole le stesse emozioni. Devi scrivere un libro al tuo ritorno.
Forza e coraggio
un grosso in bocca al lupo
Parole lette con grande rispetto, verso questa grande Montagna , Auguri a tutti…voi che la grande Impresa….sia raggiunta.! Ciao Daniele…….!
Un’emozione leggerti. Daje fino alla meta, ognuno ha dentro di sé il proprio punto di svolta
Daniele, mi chiamo come te.
Qualunque cosa vi spinga a rischiare la vita pur di dissetare la voglia di vincere voi stessi, merita ogni genere di rispetto.
Seguo la semplicità di ció che descrivi, lontano dai tecnicismi, quasi un memoriale di dubbi e paure.
Di questo è fatta la vita, dubbi e paura. L’unica cosa che ci è dato di capire è che tocca imparare a scalare, soli, contro tutto e contro ogni logica apparente.
Insegnateci quanto si puó essere forti in questo.
Go straight to the top, go straight to the top, guys.
Ciao,bravo/bravi!Penso che sperimentate il muro fra la vita e la morte ….e sentite quanta vita c’è’ sia nelle difficolta’e sia nelle gioie.Che tutta la buona vita trionfi e ritorniate carichi di saggezza.Con stima ,Luca Moiana
Grazie per averci ispirato, Daniele.