Un rombo sordo mi fa pensare a grossi pezzi di ghiaccio che scendono dalla seraccata sommitale. Cerco di localizzare il suono e non mi sbaglio: il canale alla sinistra della nostra tenda viene sommerso da piccoli e medi pezzi di ghiaccio, più una certa massa di neve.
Ma non è quello che mi preoccupa e mi fa sentire agitato. Siamo a Campo 2, 5100m al centro el grande ghiacciaio. Il campo è protetto da una guglia glaciale che impedisce alle seraccate sommitali di cadervi sopra. Queste tuttavia hanno una via di fuga proprio sul lato alla nostra sinistra. Qualche giorno fa, Karim e Rahmat, hanno voluto che cambiassi traiettoria per salire a Campo 3 e che rinunciassi alla mia cresta centrale per risalire proprio quel canale alla sinistra della nostra tenda. Per esperienza mi allargavo di più al centro, prendevo la linea
di cresta più sicura da eventuali valanghe. Tuttavia giorni fa ci siamo accorti che le nostre corde fisse passando per la cresta non sarebbero bastate visto che il tracciato è più lungo ed abbiamo deciso di accorciarlo passando per quel tratto di canale pericoloso. Più facile, meno corde da usare, meno scalata però… più pericoloso. Ed eccola li una mini valanga che copre le nostre tracce.
Ma come vi dicevo non era questa deviazione che mi preoccupava. Ieri quando siamo arrivati al campo 2 abbiamo dovuto recuperare la tenda sotto “una tonnellata di neve”. Alcuni pali si sono spaccati ed una parte del telo è strappato. La tenda non ha più la sua forma, si schiaccia leggermente sul fianco a causa dei pali rotti e di quelli piegati.
E’stato impossibile sul momento ripararla e così ci siamo dovuti accontentare di dormire nella sagoma schiacciata della tenda. Non stiamo comodi chiusi in questo piccolo fagotto di teli e pali con tutta la condensa ghiacciata che ci cade addosso, ma siamo qui e ci sentiamo fortunati di aver potuto recuperare la tenda ed il materiale che c’era all’interno.
Quello che mi preoccupa di più è se ritroveremo campo 3 oppure no. So che è un posto maledetto per posizionare il campo, l’ho sempre saputo. Domani sarà una giornata molto dura, sia per salire al campo 3 e sia per ritrovare il materiale lasciato in deposito al campo. Nei giorni passati abbiamo fatto una gran fatica per attrezzarlo e per portare su il materiale. Attrezzature necessarie per prepararci alla scalata dello sperone. Se non dovessimo ritrovare quelle attrezzature potremmo non avere i duplicati per continuare la salita. C’è un altro aspetto da non sottovalutare. Quando abbiamo trasportato questi materiali in alto eravamo in 4, io, Tom, Karim e Rahmat, ora siamo rimasti solo io e Tom e se dovessimo ritrasportare su in alto tutto quel materiale ci servirebbero giorni e giorni di bel tempo che non potremmo usare per scalare lo sperone Mummery. Il campo 3 è di base, fondamentale per scalare i 1200m di sperone. Il danno più grande sarebbe questo, non solo aver perso migliaia di euro di materiale.
Deglutisco con una certa fatica. Sento la saliva raspare contro la gola come farebbe una pala meccanica mentre raschia la terra sopra uno strato di cemento. Lo stridore mi fa scendere un groppo allo stomaco. Poi rido, forse è la fame, abbiamo mangiato un liofilizzato ed un pugno di mandorle e noci.
Chiudo meglio la cerniera del sacco facendo bene attenzione a non chiuderla del tutto e di lasciare uno spiraglio per respirare l’aria al di fuori del sacco, più fresca, pulita, energia pura per riposare bene. Siamo a 5100m del campo 2 e qui la quota comincia a farsi sentire, la mancanza di ossigeno non ci aiuta a riposare, se dovessimo respirare l’aria scarsa ma calda del sacco a pelo ci sveglieremo più stanchi di prima. Tuttavia l’aria gelida dell’interno della tenda può infiammare le vie respiratorie e quindi mi trovo costretto a dormire un po, poi svegliarmi e respirare da dentro il sacco per recuperare il calore perduto.
Poi svengo addormentato per un oretta e mi risveglio mentre il termometro nella tenda segna 18 gradi sotto-zero.
Accendo il fornello, verso l’acqua fredda della bottiglia dentro il pentolino e comincio a scaldarla. Ne bevo un po’ prima che ebollisca e poi metto del ghiaccio nel pentolino. Dopo alcuni minuti l’acqua va in ebollizione e la verso nella bottiglia che chiudo ed infilo avidamente nel sacco a pelo. Il calore rilasciato riattiva la circolazione nelle dita dei piedi. Nel frattempo prendo la bottiglia di Tom che si è svegliato e brama la stessa operazione. Lui ne ha due di bottiglie con su i loghi dei suoi sponsor personali Camp, Montane e Cassin mentre sulla mia ci sono Ciesse Outdoor, Conte.it, Utopia 2000. I loghi sbiadiscono giorno dopo giorno mentre saliamo sempre più in alto così come i giorni dall’inizio di questa spedizione aumentano un poco alla volta.
L’operazione di scaldare l’acqua è un operazione che normalmente fa Tom mentre questa volta mi trovo a farla io. Tom mette una bottiglietta ai piedi e l’altra la stringe a se mentre si richiude nel suo buco di piuma a tela.
Spengo la lampada frontale mentre sposto la mia unica grande bottiglia dentro la giacca in piuma. Chiudo la zip e spengo la frontale. Torna il buio.
In to the wild.
A volte dentro il mio flusso mi dimentico di essere “In to the wild”. Le parole di Tomeck mi tornano a mente “we are in to a big freege…”. Un tocco di nostalgia e di tristezza mi pervadono ripensando a quell’uomo maltrattato che stava semplicemente inseguendo il suo ideale. Un amico, una persona con cui ho condiviso ore su questa montagna di indimenticabile intensità. Ora è li su, perso sul ghiacciaio proprio sotto la vetta del Nanga, forse è li solo il suo corpo e chissà dov’è lui ora a farsi beffa di noi che cerchiamo di salire, che cerchiamo di lottare contro questo pezzo di mondo selvaggio all’inseguimento di un ideale grande quanto la vita. Una via nuova in uno stile pulito che definisce una filosofia di vita, “senza scorciatoie”, “dritti fino alla meta alta è la vela”. Lascio scorrere le immagini, i suoni delle sue parole, come se fossi in un film dove io stesso sono l’artefice ed uno dei protagonisti. Poi la tristezza va via e lascia spazio alla passione e all’amore per quello che stiamo facendo. Il freddo viene stiepidito dal calore rilasciato dalla bottiglia. Prendo nuovamente sonno.
Sono ottimista, sono sicuro che domani ritroveremo il campo 3 a 5700m e potremmo continuare la scalata per raggiungere nuovamente i 6000m dove abbiamo lasciato un altro deposito di materiali. Ad un certo punto però sento un rumore strano proprio dietro la schiena e la tenda si piega sopra di me. Sono chiuso nel sacco a pelo e non riesco a muovermi bene e la pressione aumenta sempre di più. Il rumore di qualcosa che rotola sopra di noi come un “Bruuuummmmmm” diventa più forte. Urlo “Tom…Tommmm….Tooommmm….”. Voglio sapere se lui sta bene ma Tom è in silenzio mentre cerca di sostenere la parete posteriore della tenda cosi come sto facendo io. Dentro mi sento morire, non ci credo, non è possibile che una valanga sia arrivata sul nostro campo eppure eccomi qui schiacciato da tutto il creato di neve della montagna. Dopo alcuni secondi che mi appaiono interminabili la spinta si ferma come d’incanto, senza nessuna decelerazione. Così di punto in bianco nessuna spinta solo il telo che è indietreggiato di una decina di centimetri. Allora capisco. Il vento ed un po della neve che si era accumulata sulla guglia nevosa cadono sulla tenda creando una mini slavina proprio dal mio lato e con i pali della tenda ancora rotti e piegati non ha trovato resistenza ed ha spinto su di me. Mi calmo e dopo aver spinto in la il telo mi rimetto a dormire.
Karim.
La notte però non scorre via facile tra veglia e dormiveglia arriviamo alla mattina. Intorno alle 7am in genere la temperatura tende a salire di qualche grado dopo aver superato le ore più fredde della notte, le 4am. Mi viene naturale girarmi sull’altro lato e dormire. Quel leggero tepore mi sorprende e sorprende anche Tom. Quando ci svegliamo sono le 9am…è tardi. Comunichiamo con il campo base e Karim ci sconsiglia vivamente di continuare a salire. Dalla sua voce mi sembra nel panico e non riesco a capirlo. “Dani, there is a lot of snow, please come down, is not safe to go up” ( Dani, c’è un tanta neve, pe favore scendete, non è sicuro salire su ). “karim, thanks for the advice, but I know very well this mountain” (Karim, grazie per il consiglio ma conosco molto ben questa montagna ). Silenzio. Tom annuisce.
Il panico che percepisco dalla voce di Karim mi stupisce per certi versi. Lo sa bene cosa vuol dire andare su queste montagne in inverno eppure durante la salita dell’altro giorno continuava a dire che c’era tanta neve. I nostri due punti di vista sono molto diversi. Tutti possono vedere che c’è tanta neve ma un vero professionista sa differenziare “quando” e “dove” è veramente pericoloso. Prima di partire da Islamabad per il campo base, in un meeting, gli ho spiegato molto bene quali sono i punti e le situazioni pericolose. Dalla radio a mezza voce gli sento dire che non vuole più scalare. Lascio correre le sue parole per poter tornare al campo base e capire che cosa gli sta passando per la testa. Nel frattempo io e Tom ci mettiamo all’opera per riparare la tenda. Ho la brillante idea di usare i pali della tenda in deposito qui a campo 2 per riparare la tenda che stiamo usando. L’idea funziona anche se dobbiamo smanettare molto per unire i pali, tagliare l’elastico, rimontare il tutto a temperature veramente molto basse. Mentre lo facciamo ogni tanto ci concediamo una pausa per riscaldare con il fornello dita di mani e piedi. La giornata passa veloce cosi fino a sera. Abbiamo deciso di restare a campo 2 per alcuni motivi importanti: il primo avevamo bisogno di sistemare per bene la tenda, secondo eravamo molto stanchi per le due giornate precedenti che tra poco vi racconterò, ci eravamo svegliati un po troppo tardi ed infine perché una giornata di sole come quella appena passata avrebbe permesso alla montagna di scaricarsi definitivamente del metro di neve caduta nei giorni precedenti.
3 giorni prima di salire a Campo 3.
Arrivare a campo 1 a 4700m è stato un delirio. Siamo io, Tom e Karim. Rahmat resta al campo base perché i 6 giorni di antibiotici non hanno risolto la sua infiammazione della trachea/bronchi. In realtà non abbiamo mai capito esattamente cosa abbia avuto ma continuava a lamentare dolore in quella zona ed ad espellere tramite tosse pezzi di infezione. Decide di scendere per fare una visita a Gilgit e poi eventualmente risalire nei giorni successivi. Tuttavia prepara tutto il suo materiale in alcune borse. Quasi come se sapesse che la sua condizione non sia recuperabile ne quella fisica ne tantomeno quella mentale. Le due cose qui vanno di pari-passo.
La mente sul corpo.
La domanda che mi pongo in queste situazioni è sempre la stessa. Quanto influisce la mente sul corpo? Quanto la paura, il timore di non essere all’altezza o le idee fisse che ti si bloccano in testa possono diventare delle malattie psico-somatiche? Quando ero un po più giovane andavo nelle scuole a fare delle lezioni sulla cultura di montagna, il coraggio di affrontare la vita e poi dentro ci mettevo un po’ di progetti solidali e diritti umani. Una conferenza che durava un paio di ore che amavo fare e che amo ancora. Alcuni ragazzi ogni tanto mi fermano per strada e mi ringraziano di quelle proiezioni. Non ho mai avuto realmente la sensazione dell’impatto che quelle parole avevano sui ragazzi delle scuole medie. In fondo lo facevo perché mi divertiva e guadagnavo qualcosa per l’associazione e per le prime spedizioni, ora purtroppo non ho più tempo di farle. Fino a quando un ragazzo in una pizzeria mi offre la pizza e mi dice: “Tu non ti ricordi di me, chissà quanti ne hai incontrati. Io sono stato uno di quei ragazzi fortunati a seguire le tue lezioni a scuola. Quando ci hai spiegato che la natura e l’avventura è dietro casa, che possiamo fare qualcosa per la nostra vita, ‘che la paura bussò alla porta e il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno’. Quelle parole mi hanno permesso di capire che la mia vita è nelle mie mani. Ora sono un pizzaiolo prima ero un potenziale delinquente. Permettimi di offrirvi la cena”. A fatica trattengo le emozioni che mi pervadono. Le parole e le azioni che ne conseguono possono cambiare il mondo. La storia che tu racconti genera benessere tutt’attorno. E’ in quei momenti che l’idea di “scalare se stessi” è nata. Il seme risiede in quei giorni, in quelle ore., in quei momenti di superba intensità.
Accumuli di neve.
Karim è con noi, anche se continua a minare la motivazione osservando che c’è molta neve. Non è una novità per nessuno, in fondo ha fatto più di un metro “vero” in questi giorni che nei punti di accumulo diventano anche 3m. Il vento trasporta la neve e la accumula in dei punti in cui può sembrare che abbia fatto 5m o anche 10m ma in realtà e per onesta intellettuale quello che si dovrebbe calcolare è la precipitazione complessiva, non misurare i metri di accumulo solo per generare un effetto nelle persone che ci leggono. 1 metro di neve caduta è tanta roba già cosi. Immaginatevi a camminare in una neve che vi arriva alla pancia! Come sarebbe possibile? In realtà la neve caduta si accumula in alcuni punti, si schiaccia in altri ( cioè si comprime ) e viene portata via dal vento in altri punti lasciando cosi scoperto il pendio ghiacciato. Cosi che anche dopo una nevicata cosi intensa se si riesce a valutare il percorso si può trovare una via per procedere anche a fronte di un impegno fisico e mentale notevole. Conoscere queste cose ci permette di valutare attentamente i rischi e poi ci permette di motivarci per arrivare all’obiettivo: in questo caso raggiungere i campi e recuperarli.
Certo, in queste condizioni il margine sul rischio diminuisce perché non siamo in grado di avere tutti i dati che spesso scopriamo durante il percorso. Per questo a volte una strategia decisa al campo base con alcuni dati su quantità di neve, velocità e direzione del vento, condizione fisica, stato emotivo può farci cambiare strategia durante il percorso quando scopriamo i dati reali. I dati sono veramente importanti per fare un buona valutazione ed i dati non sono tutti uguali, ce ne sono alcuni importanti altri invece proprio di nessun valore.
Un esempio.
Vi faccio un esempio: al campo base avevamo deciso di partire con l’ultimo giorno di brutto tempo per raggiungere campo 1 e poi procedere verso campo 2. Durante il percorso ci siamo resi conto che la salita all ‘inizio del ghiacciaio e poi la piana ci hanno richiesto più energie e tempo del previsto. Quando siamo arrivati a campo 1 le tende erano scomparse sotto una massa uniforme di neve, cosa che non avevamo potuto prevedere. Abbiamo impiegato 3 ore per scavare e trovare la prima tenda. Della seconda invece nessuna traccia. In quest’ultima c’erano i ramponi di Karim, scomparsa la tenda scomparsi i ramponi quindi per lui la salita a campo 2 si ferma qui è costretto a tornare a campo base per recuperarne un paio. E’ andato perso anche il suo sacco a pelo e quindi anche volendo non potrà restare a dormire con noi qui a campo 1. Ecco come una strategia va aggiustata e cambiata man mano che scopriamo quelle cose ed abbiamo quei dati che in fase di valutazione iniziale non possiamo avere con certezza ma che possiamo scoprire solo “vivendo”. Qui subentra il coraggio e la passione. Dico sempre che l’alpinismo non è solo follia ma preparazione minuziosa anche quando non è consapevole costruita sulla base di lettura, studio e tanta esperienza sul campo.
La percezione del rischio.
La percezione del rischio è molto personale e per me dipende da alcuni fattori precisi:
- la conoscenza di se stessi,
- dalle proprie capacità di valutazione oggettiva,
- dalla conoscenza dell’ambiente,
- dai dati che si hanno sulla situazione attuale,
- dall’esperienza accumulata,
- da altri fattori minori.
Infine esiste il fattore più grande che li unisce tutti, la capacità di mettere insieme questi dati e dare una risposta corretta ed attendibile.
C’è un fattore in reltà che non ho messo in evidenza perché per me fa parte del set-up iniziale ed è la “quantità di rischio che una persona ha deciso che può accettare nella sua vita in quel preciso momento storico”.
Un argomento molto delicato questo da analizzare in un epoca dove siamo sempre attenti a dove mettiamo i piedi per non farci male, oppure dove abbiamo paura di andare a correre sotto una bella pioggia, oppure dove siamo pronti a far causa se qualcosa anche minima va male. Oppure all’inverso siccome abbiamo degli ospedali che funzionano molto bene e dei medici super eccezionali allora pensiamo di poterci prendere rischi esagerati perché sappiamo che se ci rompiamo poi ci mettono a posto.
Per me non è così, fa parte tutto di un calcolo preciso che prende in analisi i punti in precedenza elencati ed altri al fine di portare a compimento una valutazione globale che ci permette di avere una visione d’insieme che abbatte i rischi e soddisfa le esigenze di raggiungere i propri sogni.
Un calcolo difficile, soggetto a molte variabili e ad imprevisti legati all’ambiente che rendono il tutto un gioco ad alto rischio. Se nel set-up iniziale non siamo disposti a sopportare una certa quantità di rischio e quel gioco la richiede, allora è meglio non giocare.
Che fine ha fatto il romanticismo? Il romanticismo nell’alpinismo non muore perché valuto attentamente se potrà svilupparsi una valanga o meno, se ho le forze per continuare una scalata oppure no. Anzi, subentra in maniera ancora più potente dato che quei calcoli man mano che ci si affatica e che l’altitudine preme sulle nostre capacità si deteriorano e ci sarà bisogno di quel guizzo di vita che manterrà i calcoli al suo posto e farà si che percezioni errate non ci facciano tornare indietro prima del previsto. Un guizzo di vita, energia vitale, elan vital, anima, spirito quello che sia che ci fa uomini ed esploratori, amanti e traditori, scalatori per passione o arrampicatori sociali, con la puzza sotto il naso o pronti ad aiutare il prossimo anche contro i nostri interessi.
Da campo 1 a Campo 2.
Siamo io e Tom nella tenda di campo 1 mentre Karim è sceso al campo base. Continuo a ripetermi “ Tranquillo ritroveremo tutti i campi e le tende”. Ripenso alla fatica di tutti per portare su il materiale e creare quella base da cui partire per scalare lo sperone, fatica, speranza, lotta contro noi stessi e contro la natura che stiamo affrontando.
“Scala te stesso, scala te stesso…scala te stesso” ”…un par di pa***” mentre i miei demoni salgono in superficie e non so più come tenerli a bada. “Al diavolo, ora stò triste per un po c’è niente di male?” Urlo dentro me stesso mentre mi giro dall’altra parte nel sacco a pelo. Poi chiudo gli occhi e dormo. Salire a campo 2 è dura. Scaldo calzini, guanti, metto la bottiglia di acqua calda nella giacca eppure le dita perdono sensibilità. Sento un dolore lancinante a tutte e 10 le dita delle mani e vedo anche Tom continuare a strofinarsele. Fa un freddo bestiale e sulla prima parte del tracciato la neve trattiene il nostro passo veloce. Sono tentato di tornare indietro quando comincio a non sentire più le dita delle mani. Il pollice della mano destra non si chiude, tento di togliere il guanto ma la mano perde forza quando è fredda. E’ al limite del congelamento eppure siamo appena partiti dal campo. So che appena il sangue entrerà in circolo pompato a metà forza dal cuore, il calore arriverà alle mani, poi il dolore intenso e alla fine il senso di poter riprendere le attività normali. Passa un ora prima che ciò accade e quando accade lo stridore dei denti per resistere al dolore lo sente anche Tom che mi segue a ruota. Vedo anche la sua faccia provata dal freddo e dal dolore poi all’improvviso senza che ce ne accorgiamo arriviamo su all’altezza del campo 2. I due pendii che separano i due campi vanno via veloci sotto i nostri ramponi. Ma la situazione non è migliore di quella trovata al campo 1, la tenda è scomparsa, sommersa da una tonnellata di neve, neanche questo campo ci risparmia la fatica.
Salire a Campo3.
Mi sveglio due minuti prima del suono della sveglia. Gli automatismi tra me e Tom alla mattina sono precisi come orologi svizzeri, accendiamo il primo fornello con il quale scaldiamo la bomboletta di gas. Poi accendiamo il secondo fornello per sciogliere la neve mentre il primo continua a scaldare l’ambiente. Quando la temperatura si stiepidisce allora siamo pronti a tirarci un po più fuori dal sacco, prendere il liofilizzato al muesli della mattina e cosi via fino a mettere gli scarponi, poi uscire, calzare i ramponi, zaini in spalla e via, si sale.
Traversiamo la valanga della notte e poi su verso le poche corde fisse che ci permettono di essere più sicuri sopra i ponti di neve. Ogni pensiero è rivolto al Campo 3 mentre saliamo e spingiamo sulle gambe e sulle braccia. Tom è veloce stamattina sembra che qualcuno gli abbia acceso il turbo. Continuo a ripetermi “scala te stesso…scala te stesso…dai che mentalmente vinci tutto!!!”, poi una gamba cede sotto la pressione della spinta che do al pendio per issarmi un passo più su. La schiena duole, le dita sono fredde. Scoppio a ridere tra me e me in una fragorosa consapevolezza. Ripenso alle ore di corsa davanti casa, gli esercizi di squat, le scalate in Valle d’aosta nella mia val Ferret, le corse sul Semprevisa. Allora rallento, ecco a cosa serve la testa a capire qual’è la cosa giusta da fare, come gestire gli anni di esperienza e di allenamenti, come prendersi i giusti rischi, come dare il tempo a questa macchina perfetta di scaldarsi e prendere il ritmo. Lascio andare Tom, sono dietro chiuso nei miei pensieri, rallento, scelgo il mio passo, rispetto le mie gambe ed i miei polmoni. Metto il bavero per scaldare l’aria prima che si schianti dentro di me. Ora va bene, l’equilibrio fra testa e corpo è fondamentale. Arrivato sul pianoro mi sento veramente soddisfatto. Come ogni ottimo compagno di cordata Tom mi aspetta al margine del grande crepaccio, beve qualcosa e cerca di scaldarsi. Ora tocca a me battere traccia e fare strada. Passo avanti e comincio a salire. Intravediamo dove dovrebbe essere il campo in lontananza e ci accorgiamo subito che sarà dura ritrovarlo. La montagna è stupenda, sovrastati da tanta imponenza mi sento privilegiato a giocare questo gioco di avventura. Sono qui, e posso sentire, guardare e percepire con tutti i miei sensi. Poi chiamo Tom e gli urlo “Tom look the sun, look there…” ( Tomm guarda il sole, quarda li….). Siamo su una parete per lo più rivolta a Nord con creste altissime tutt’attorno e questo fa si che siamo sempre all’ombra o quasi. Con l’avanzare della stagione per una questione di prospettive e di traiettoria del sole i raggi riescono a colpire il campo 3 passando proprio sopra il colle che separa il Nanga Parbat dal Mazeno Peak. Questa ci da forza e coraggio ed arriviamo al campo quando arriva anche il sole. Non posso crederci, il calore sprigionato dai raggi che mi investono ridanno calore a tutte le dita di piedi e mani.
Ma del campo non c’è traccia.
Il buco del crepaccio dentro il quale ci eravamo riparati è scomparso totalmente ed al suo posto un pendio uniforme alto qualche metro di più di quello che siamo abituati a vedere.
Cominciamo a scavare con la speranza di ritrovare qualcosa ma nulla. Dopo aver scavato tre buchi nella speranza di beccare un telo, una corda, un moschettone, il sole cala e torna l’ombra sopra di noi. Tom ride, io anche, si apre l’idea di salire in puro stile alpino.
La lista.
Sotto la neve di campo 3 rimarranno due tende, due sacchi a pelo, due materassini, una ventina di liofilizzati, un fornello, una decina di bombolette di gas, una ventina di viti da ghiaccio, chiodi da roccia, rinvii, due cordini in dynema da 50m, moschettoni, due caschetti, una lampada frontale, due piccozze, due guanti d’alta quota, un tuta in piuma e chissà quante altre cose che oggi sfuggono alla nostra memoria. “hey Tom, we left the bag with sleeping bag, tent, food, gas adn stove to 6000m…we are lucky” (hey Tom, abbiamo lasciato uno zaino con il sacco a pelo, la tenda, cibo, gas e fornello a 6000m…siamo fortunati) e rido di cuore.
Tom mi risponde “We have also two ropes at the beginning of the wall and now I left something more here…we are very lucky” ( Noi abbiamo anche due corde all’inizio della parete e adesso lascio altre cose qui…siamo veramente fortunati) e ride. Mi sento libero e lo leggo anche negli occhi di Tom. Sappiamo entrambi che la montagna ci ha puniti per una leggerezza che abbiamo fatto. Ci siamo presi più rischi di quelli che avremmo dovuto, avevamo portato su un sacco da deposito ma avremmo dovuto smontare tutto e posizionare il materiale fuori dal crepaccio. Lo sappiamo tutti, lo sanno anche Karim e Rahmat che non sono qui ora. Non ce lo diciamo ma entrambi annuiamo che quella maledetta settimana di neve intensa che ha scaricato più di un metro di neve è arrivata troppo presto per noi, prima che riuscissimo a portare tutto il materiale su in parete. La montagna ci ha puniti. Ha punito quel calcolo sbagliato con la variabile che non abbiamo calcolato bene, forse per supponenza, forse per eccesso di sicurezza, forse perché ci siamo sentiti troppo forti, forse solo perché siamo stati un po ingenui, forse perché eravamo stanchi, forse perché volevamo correre giù al campo base.
Campo base.
Tacchi a monte e punte a valle diceva il mio maestro di sci quando ero piccolo e la paura mi spingeva a tirare i freni e mettere il culo sulle code degli sci. Stavolta con la neve soffice metto il sedere a terra e sembro uno slittino a tutta velocità. Urlo a Tom di spostarsi, lui all’inizio non capisce poi si gira e si sposta mentre io sfreccio a tutta velocità sulle natiche mentre la piccozza gratta sul pendio per tenere a freno la velocità. Arrivato giù in fondo saltiamo da un crepaccio ad un ponte di neve ed in breve siamo al campo base.
L’abbraccio con Karim è dolce ed amaro allo stesso tempo, l’adrenalina scorre a fiumi dentro di me mentre la notte ci ha inghiottito già da tempo.
Scala te stesso, mentre ripenso a come due puntini soli, inutili, minuscoli attraversano in piena inconsapevolezza ghiacciai enormi dell’Himalaya “senza colpo ferire”, come se fosse una cosa naturale, come se fosse la nostra natura che esce fuori da se. Mentre mi infilo nel sacco a pelo della mia solitaria casa del campo base ripenso a quel momento quando da 5700m del campo 3 guardo verso lo sperone e sento il desiderio irrefrenabile di salire, di andare su ed invece sono costretto a rifare quel maledetto calcolo con nuove variabili e scendere. Mi prudono le mani, se solo esistesse la Dea di quella bufera di neve vorrei prenderla a schiaffi, baciarla e poi chiederle perché ci ha fatto questo?
Nel momento in cui abbiamo spostato tutto il materiale più importante su al Campo 3 lei ce lo ha inghiottito.
Poi quel senso di libertà mi pervade di nuovo, c’è una soluzione, la vedo, bella, li in lontananza come se fosse una luce a darmi la pace della notte.
Solo.
La mattina Karim ci lascia dopo una lunga chiacchierata durante la colazione. Ciapati, cioccolata, porridge ed una bella frittata come piace a me accompagna da caffè e latte.
Tom abbraccia Karim, poi lo abbraccio io, ora è solo. So come ci si sente a lasciare il campo base. Un senso di solitudine ti pervade. Karim si gira a dare un ultimo sguardo alla montagna, poi innesta la seconda e scompare alla nostra vista. L’emozione è palpabile mentre un pezzo della nostra avventura si allontana.
Mi è capitato di lasciare questo campo base da solo, o di vedere Roberto allontanarsi solo nei suoi pensieri. So cosa passa nella testa di un alpinista che ha un sogno, che ha provato a raggiugerlo ma poi si è dovuto scontrare con i propri limiti e con quelli di chi occupa il campo base. Passerà mi dico, anche se so bene che non passa mai. Scala te stesso…e rido, “si si si scaliamo noi stessi, fino al nostro obiettivo. Una vetta? Una via nuova in inverno? No amico mio, è libertà, è Freedom, è conquistare il proprio posto con le proprie forze. A volte anche con quelle dei propri compagni di cordata. Non è solo una questione di scalata, è una questione di vita”.
Siam tutti qui che scaliamo con te da Roma Daniele. Grazie dell’update.
C’mon guys !!!
Attendo un vostro aggiornamento come un bambino aspetta babbo natale! Tenete botta!!!!!
Rispetta te stesso: non hai da dimostrare nulla al mondo intero, vivi il tuo sogno e ascolta sempre il palpito del silenzio
Grandi ragazzi, portate avanti il vostro sogno…
Un abbraccio.
Grazie Daniele per ogni parola…so che mettere su foglio i pensieri serve anche a te per consolidare la consapevolezza del tutto,come fa il sole, che con il calore squaglia e compatta la neve così fa la mente che stende esamina e fa il punto di ciò che succede e di ciò che ci succede dentro…grazie … grazie per condividere tutto con noi..un abbraccio forte dalla Ciociaria ..P.S. ..La Semprevisa ha messo il cappelletto bianco…ed è stupenda come sempre
Daniele sei il più grande di tutti e…. non ti scoraggiare ma tieni duro.Sono quasi certo che ce la farai,uno come te DEVE farcela.Ti sto seguendo sul tuo ascensore che sale e scende,poi si ferma ai vari piani e mi chiedo quando questo ascensore partirà per l’ultimo piano.Mi sento così emozionato nel leggerti e mentre lo faccio mi sembra di esserti vicino e…vorrei che quanto sto leggendo non finisse mai e nel momento che intravedo la fine mi prende la tristezza.Forza DANIELE di persona non ti conosco ma sembra di esserti sempre stato amico.Al prossimo aggiornamento che ci invierai……lo aspetto con ansia.Ciao Daniele e che DIO sia con te e non ti abbandoni mai.
La tua sensibilità è altrettanto grande come la tua bravura e il tuo coraggio!!
Ti seguiamo, vi seguiamo, con trepidazione. Belle riflessioni. Ti giungano ringraziamenti e energie dal profondo del cuore, dove la forza si propaga.
La Montagna Nuda ” non da tregua..forza “Daniele , un impegno notevole
noi ti seguiremo , come sempre , con affetto…! Un caro saluto G.Carlo Venturini
Affascinata dai tuoi racconti. Attendo ogni giorno i tuoi aggiornamenti. Invidio i paesaggi e le emozioni che stai provando. Fiera di voi!
Che bel racconto, coinvolgente ed emozionante! Grazie, bravi, speriamo in un bel sole
Grande Daniele ti ringrazio per le emozioni che racconti e per le perle di vita che regali. Tifo per voi e che il vostro karma vi accompagni in ogni scelta. Viva il lupo!
Ciao Daniele, oggi sono salita in macchina per tornare a milano, era buio, pioveva un mondo e avevo un gran freddo. Ho fatto una cosa che solitamente non faccio: accendere l’aria calda, altissima! E mentre sentivo il tepore avvolgermi le mani ho pensato a voi, alle bottiglie di acqua a mo’ di boulle, a quel senso di infinito che solo le cime regalano e che voi state vivendo. Forza!
Vi seguo
Vi stimo
Forza ragazzi
Siete grandi
Siete davvero grandi! Nonostante le immense fatiche, con i vostri diari riuscite a farci vivere e immaginare ogni singolo minuto delle sofferenze passate sul Mummery. Prego che la Vetta sia presto Vostra!
Grande Daniele, grandi ragazzi ,molta emozione nel leggere ciò che descrivi, forza siamo con voi
Finché ci sarete voi a tenere viva l avventura io avrò di che sognare.
Un passo…poi respira.fino in cima!
Con forza, nel vostro lucido sogno pazzo.
Forza Daniele ,sei un grande e vai fortissimo ! ti aspettiamo in Abruzzo!
non molare daniele, non mollate ragazzi . immensi
Davvero coraggiosi…ma soprattutto con un cuore immenso!!stai facendo sognare tutti noi…siamo lì con voi!!un caldo abbraccio
tenete duro ragazzi…siete il nostro orgoglio…dajeee dajeeeee
Forza Daniele!! Ti seguo da anni e mi fai sognare. Ammiro ciò che fai e lo spirito che ti anima. Vivete l’avventura qualunque essa sia perché è sempre stato questo: superare i limiti, l’impossibile, che ha fatto avanzare l’uomo.
vai nardi….. sei grande.carmine straface
Ciao a tutta la squadra ,dove siete finiti , leggo di container in arrivo , prolungamento del permesso di scalata , squadra ridotta ? Daniele cosa cӎ di vero ? Forza Daniele e Tom . Vi abbraccio forte ,Marino .
DAJE!
Non ho forse più l’età e nemmeno il coraggio ma grazie a delle persone grandi come te posso in parte vivere le forti ed uniche immense emozioni delle tue grandi imprese.
Daniele un forte abbraccio ed un in bocca al lupo!!
Manchi ogni giorno di più…vuoto immenso❤