Quando chiudo la tenda mi trovo a 5200m, di lato al ghiacciaio che ho sciato qualche settimana fa e proprio alle mie spalle c’è il canale che porta in cresta, su quella crestina in direzione del Ganalo Peak dove ci sono una serie di cime che vorrei scalare.
Il tempo sembra fantastico, la giornata di oggi è stata fantastica anche se le previsioni meteo davano un po’ di vento sugli 80km/h. Volevo approfittare di questa giornata per portarmi più in alto, fissare il campo e poi decidere il da farsi. Durante la notte neanche un filo di vento e l’ottimismo si fa avanti. Decido di partire presto così da raggiungere la parte delicata della salita al sorgere del sole. L’idea è di fare un balzo unico e veloce fino a 6000m e più di una cima bianca che mi piace particolarmente. La cresta è molto lunga e costellata di gendarmi rocciosi.
Ma sin da subito capisco che la salita non sarà facile ed altrettanto non lo sarà la discesa. Non dormo molto e verso l’1,30 comincio a prepararmi. Questa volta dedico più attenzione agli scarponi, tolgo l’umidità ghiacciata nella notte dagli scafi, li scaldo leggermente ai fornelli, asciugo la scarpetta interna, posizione un warmer chimico e li infilo, con loro la tuta in piuma, faccio colazione e per le 3,30am sono pronto a partire. Neanche un filo di vento ma so che sulla cresta la tuta che adesso mi sembra esagerata mi sarà utile.
Avvicinamento.
Il 12 febbraio comincio a salire dal campo base, il tempo splendido forse mi ha dato ragione. Arrivato al ghiacciaio recupero lo zaino depositato e salgo ai 5200m circa dove avevo intenzione di posizionare il campo. Stavolta non passo direttamente sul ghiacciaio ma, salita la prima parte traverso verso destra e mi infilo in un canalone laterale, attraversando qualche crepaccio, e sperando che un paio di pinnacoli sopra la testa non crollino durante il mio passaggio vado su fino ad incontrare l’ipotetica linea di uscita dal ghiacciaio, esattamente dove avevo pensato di posizionare la tenda. Il ghiacciaio è cambiato, ci sono stati un po’ di crolli e proprio dove pensavo di passare un enorme seracco è venuto giù caduto suppongo dopo la pressione di un crollo superiore. Ho fatto bene a cambiare traiettoria. Dopo aver cenato su delle rocce vicino la tenda la temperatura si abbassa notevolmente e rientro in tenda. Mi infilo nel sacco a pelo e mentre accendo il fornello per scaldare l’atmosfera guardo al di la delle tendine il sole calare dietro il Karakorum. La vista è mozzafiato, il ghiacciaio che ho di fronte diventa rosato, due pinnacoli di ghiaccio e di roccia sembrano far da guardia al Nanga Parbat. Lo sperone roccioso in particolar modo è inquietante, sembra un uomo gigantesco seduto in attesa di qualcosa che guarda il ghiacciaio Diamir di fondo valle.
Mentre chiudo le tendine penso alla mia solitudine su queste montagne, tiro la cerniera del sacco a pelo più che posso, metto la radio e il lettore mp3 con qualche batteria nelle tasche e in pace senza rumori alcuni intorno cerco di prender sonno. Qualsiasi cosa accada ora non ci sarà nessuno che potrà aiutarmi. Troppo distante, troppo difficile arrivare qui, nessuno sa esattamente dove sono se non che qualche indicazione di massima del ghiacciaio che ho attraversato di cui non so nemmeno il nome. Dopo qualche minuto accendo la musica a farmi compagnia, dopo i Direstraits i Led Zeppelin, dopo Rino Gaetano ed altri arriva Giorgia con la sua “Is so beautifull…” una canzone interpretata in Inglese, gli rispondo si è vero è così splendido che è difficile raccontarlo a parole. La luna splende illuminando a giorno tutta la cresta del Mazeno, i ghiacciai in alto scintillano, anche la natura in questi giorni mi ha accompagnato con i suoi suoni, lo scricchiolare del ghiacciaio, il vento leggero che suona le sue note, qualche corvo che vola speranzoso di cibo e le rocce che ogni tanto rotolano per forza di gravità. Gli occhi si chiudono per un oretta, non di più, l’ora della partenza arriva e mentre cambio continuamente strategia, parto.
Partenza.
Quando esco dalla tenda non mi sembra neanche troppo freddo anche se le temperature in quota previste sono di 30 o 40 gradi sotto zero a 6500m con vento debole. La prima parte della salita la faccio praticamente di notte, il pendio di neve comincia dolce e sprofondo quel tanto che basta per rendermi la progressione fastidiosa e faticosa ma in breve tutto si indurisce, diventa ghiaccio, si sale sulle punte dei ramponi e sembra tutto cosi breve eppure, non finisce mai. E’ notte sono costretto a tirar fuori tutte e due le piccozze, la pendenza media non supera i 55 gradi ma mi costringe a stringere le picche in mano, a battere forte e cercare di tenermi attaccato al pendio. Il ghiaccio è duro come cemento e la progressione è diretta ma lenta. Cerco, alla debole luce della frontale, qualche linea di neve ma man mano che arrivo sul punto di massima pendenza mi rendo conto che scendere da qui non sarà facile. Ho con me un pezzo di corda da 50m, sottile 5,5 mm e qualche vite da ghiaccio. Arrivato in cresta il tempo mi da ragione ed il vento si fa sentire. Mi ringrazio da sola per la scelta di mettere la tuta in piuma e continuo a salire sulla linea di cresta. Qui l’anno scorso c’era neve che copriva il ghiaccio si procedeva senza problemi, ora invece il ghiaccio blu e cristallino mi costringe a fare molta attenzione a come posizionare i ramponi. La pendenza è minore e le piccozze non mi sono di aiuto ed il vento aumenta. Continuo a salire cercando di sfruttare il più possibile delle linee di neve accumulata passando dall’una all’altra e poi passando sul ghiaccio blu e cristallino che si spacca e schizza via ad ogni battuta di piccozza. Sono costretto ogni volta a battere più di una volta per conficcare le picche nel ghiaccio. Sono talmente concentrato nel gesto e a combattere il freddo alle mani che non mi rendo conto che in breve mi trovo a 5700m. E’ notte fonda e presto sarò in uno dei punti chiavi della salita, Punta Piccola.
L’attesa in un crepaccio e Punta Piccola.
Senza rendermene conto sono andato veloce e sto bene, tutto sembra quadrare e questo vento sono sicuro cesserà con il sorgere del sole. Un paio di folate mi spostano mentre salgo e cerco di piantare gli attrezzi nel ghiaccio. Non è divertente ma mi sento bene e riesco far fronte alle intemperie. Capisco però che devo rallentare e l’unico modo che ho di superare un traverso molto delicato è quello di arrivarci con la luce. Ma per quanto possa rallentare e fermarmi più spesso non posso andare più lento di così perché se non mi muovessi il freddo avrebbe il sopravvento e comincerei a congelare. Finalmente la luce comincia a farsi vedere ma ancora una volta dimentico che sono a nord e che la parete che sto scalando ha un’esposizione di circa nord-ovest e che quindi a parte la luce, il sole lo vedrò veramente tardi. Davanti a me a poche decine di metri si stagliano le rocce di quella che ribattezzo Punta Piccola, un cimetta di 5900m che è la prima delle punte della cresta che porterebbe sulla “cima grande” completamente innevata che ho di fronte. Non so se queste cime siano mai state scalate prima di oggi ma certo è che un nome sulle carte proprio non l’ho trovato. Salgo su “Punta Piccola” ma il vento è troppo forte per poter far foto e per poter resistere qui sopra. Ci provo ma la macchina è bloccata, non ci pensa proprio a scattare foto eppure l’ho conservata dentro la tuta a contatto con il mio corpo eppure non funziona, fa veramente freddo. Scendo di pochi metri e mi rendo conto che scendere da questa dorsale su ghiaccio vivo non è affatto facile. Ricordo che alla base di questa punta c’era un bel crepaccio. Il vento continua a spostarmi mentre non ho più sensibilità al mignolo della mano sinistra. Ho una vista superba sul Nanga Parbat ed una strana nube elicoidale con venti molto forti sferzano la sua vetta. Scendo ancora di qualche metro e avevo ragione, il crepaccio che avevo visto è un ottima tana per aspettare il sole. Spacco qualche stalattite di giaccio e mi ci infilo dentro, prima chiaramente tasto bene il fondo per verificarne la tenuta non vorrei essermi infilato da solo nella tana del lupo. Il vento d’improvviso cessa, o per lo meno qui dentro non ci arriva. Riesco finalmente a bere qualcosa e a mangiare un paio di barrette congelate. A fatica butto tutto dentro il mio stomaco che si rifiuta di ingerire alcunché. Sono circa le 7,00am minuto più minuto meno. Aspetto, aspetto aspetto. Nel frattempo la batteria della macchina fotografica riscaldata per bene ricomincia a funzionare e scatto qualche foto.
La discesa.
L’ottimismo pian piano lascia spazio al realismo, queste non sono deboli folate, queste sono folate a 80 all’ora anche se il sole riuscisse a calmarle un po’, e a scaldare l’aria quel tanto che basta per renderle più sopportabili mi rendo conto che salire su quella che per gioco chiamo “Cima Grande o Palla Bianca” se preferite, mi richiederebbe di fare un lungo traverso su ghiaccio blu e la salita di due torrioni rocciosi o almeno aggirarli e poi proseguire su quello che con la luce sembra proprio del ghiaccio preistorico di quelli proprio duri e difficilmente ramponabili. Con i tempi ci sarei, farei anche in tempo a salire e a scendere con la luce e fare di notte solo la parte finale ma il vento non vuole calmarsi e continua a folate forti. Verso le 9,00am prendo la decisone di scendere. Faccio un paio di telefonate a casa che vanno a vuoto perché non mi accorgo che in Italia sono le cinque del mattino. Faccia a monte completamente coperta, la maschera ben serrata sul viso e comincio la delicata discesa. Più il vento mi sferza forte e più mi sento una bandiera al vento. Cerco di scendere il più velocemente possibile e mi rendo conto di aver preso la decisione giusta. Ogni tanto canto a squarcia gola “Is so beautifull….is so beautiful” si Giorgia è bellissimo ma di questo vento ne farei a meno. Il mio ottimismo rimaneva ben saldo perché in genere in montagna il vento rinforza un po’ quando la luce del sole del mattino si scontra con la notte e la notte pian piano lascia alla luce del giorno il posto. In quei momenti i cambiamenti di temperatura fanno muovere masse d’aria ed in quota questo fenomeno è ben conosciuto dagli alpinisti è per questo che in situazioni normali si teme sempre gli orari tra le 4 circa e le 7am perché sono i momenti dove il freddo e l’effetto wind chill si sommano per abbassare decisamente le temperature. Ma nel mio caso invece non è solo questo, il vento continua oltre le 10del mattina e quindi vuol dire che ho proprio sbagliato giornata. Che me la sia cercata lo sapevo ma certo speravo in una clemenza divina o montana. Uscito dal crepaccio ho la massima attenzione e tensione muscolare, sotto di me ci sono i 1800m fino al campo base e se sbaglio un movimento difficilmente riuscirei a fermarmi. Mi tornano in mente i pensieri della notte appena trascorsa ed il fatto di essere soli su un pendio a 5900m in pieno inverno di fronte alla “Regina delle montagne” il Nanga Parbat. Mi tornano in mente gli allenamenti in solitaria sulla parete nord della Tour Ronde, o sullo sperone della Brenva con l’uscita diretta sui seracchi tutto in velocità, oppure il tentativo alle Murelle di un mesetto fa. Tutti allenamenti che si concentrano in pochi centimetri di ramponi nel ghiaccio blu ed in frazioni di secondo dove devo aggiustare i movimenti in funzione delle folate di vento. E’ tutto cosi dinamico in un ambiente che sembra rimanere immobile per secoli e che eppure si trasforma e si modifica in funzione delle stagioni, del tempo che fa, e del momento in cui ci passi attraverso.
Quando ho chiuso gli occhi nella tenda ripensavo alla mail di un amico del porto Flavio Gioia e della bella gita in barca fatta quest’estate verso l’arcipelago delle Isole Pontine ed in particolare all’Isola di Palmarola. L’acqua calda, la roccia nuda su cui fare un pò di scalata, la cucina sempre aperta e la prua della nave con l’asciugamano sempre disteso e Luca che mi spiegava come vento, marea e direzione di navigazione si debbano mettere insieme per portare la barca in porto anche in condizioni di mare mosso. Ecco forse come mi sento, una barca in mare mosso, un alpinista in vento d’alta quota. Due mondi così diversi che di fatto però hanno la stessa base comune in due stati diversi, l’acqua, da una parte liquida dall’altra solida sotto forma di ghiaccio e poi il vento che cambia le condizioni di navigazione e di scalata. Mentre scendo e combatto il freddo i pensieri del mare caldo e della comodità della spiaggia mi inseguono, mi chiedo quando mi debba piacere tutto questo per rinunciare spesso a tante comodità, eppure mentre scendo questi pensieri mi aiutano, mi fanno compagnia mentre progetto una nuova vacanza nell’arcipelago a due passi da casa. Riprendo il timone della scalata e continuo a scendere.
La tenda in vista.
In meno di due ore riesco a raggiungere la sellata che mi porta con un ultimo pendio sulla tenda. Anche se questo pendio è coperto dal vento non resta affatto facile scenderlo dato il ghiaccio duro, ma con un po di attenzione riesco finalmente a raggiungere la tenda. Mi accorgo della tensione e dello sforzo solo quando sdraiandomi sul sacco a pelo mi si spegne la luce per una mezz’ora. Quando riapro gli occhi con la tenda a tratti riscaldata dal sole comincio a respirare aria fresca e pulita a grandi inspirate. Mi godo il dolce far nulla per un oretta e decido di smontare tutto e di scendere. Mi carico sulle spalle tenda, sacco a pelo, e quant’altro e comincio la discesa del ghiacciaio. Poi il pendio e poi ancora il campo base. Quando arrivo giù mi accorgo che da quando sono partito dalla tenda la mattina ad ora sono passate neanche 12 ore. Dopo aver bevuto qualcosa mi butto nel sacco a pelo e mi sveglio per l’ora di cena. Mangio e di nuovo nel sacco a pelo dopo aver visto le poche foto scattate. Mi sveglio la mattina dopo alle dieci.
Punta Piccola 5900m.
Non so neanche se Punta Piccola possa essere considerata un punta vera e propria ed era solo il primo punto che volevo raggiungere in questa fase di acclimatazione e di scalata, ma volevo comunque dedicare questa ascensione a tre amici che non ci sono più, Fabrizio Di Giansante, Lanfranco Castiglione, Damiano Barabino, che vengono a mancare circa un anno fa. Fù proprio in questo campo base in cui mi giunse la notizia di Lanfranco e Fabrizio. Un pensiero va anche a Michele Fait, mi mancano mentre vivo la passione che ci accomunava, la montagna e l’alpinismo. Spero che questa piccola punta possa mantenere il ricordo di quattro ragazzi che conoscevo con cui condividevo un amicizia profonda e che sia quel gendarme di roccia a proteggere il loro ricordo dal passare del tempo anche qui di fronte la regina delle montagne e un pensiero a tutti coloro che non ci sono più che la montagna in qualche modo ci ha portato via. E non dimentico un pensiero per quelle persone che quest’estate, proprio in questo campo base hanno perso la vita per un attentato terroristico, cose da non dimenticare, persone, fratelli, padri, figli, uomini che ora non ci sono più, che vivevano una passione. A tutti loro vorrei dedicare questa piccola scalata ad una delle tante “Punte Piccole” misconosciute dell’Himalaya e del Karakorum.
Ciao Daniele,
resoconto stupendo e molto dettagliato, letto tutto d’un fiato, così come le immagini che testimoniano quanto quest’ambiente sia così mutevole e difficile da interpretare sempre, figuriamoci nella stagione invernale.
Sei un grande in ogni caso, ti sto seguendo con tanta ammirazione.
Il tuo allenamento mentale, oltre che fisico, ti darà una forza incredibile.
Noi ci siamo, nel nostro piccolo, a supportarti quotidianamente!
Giorgio
Oh. Die zitierten “Sozialversicherungssysteme am Rande der Zahlungsunfähigkeit” wird jede Nachfolgerregierung genauso übernehmen müssen. Und ob wirklich bald etwas gegen die steigende Armut vieler Familien getan wird, möchte ich auch gern erst mal sehen.
Leggere il resoconto giornaliero è diventata una tappa fondamentale della giornata. Vedere la luce nei tuoi occhi nelle foto che alleghi da il senso della passione che anima i tuoi movimenti …. sapere poi, che mi porti con te, sulla tua tuta d’alta quota mi rende orgoglioso ….
( …Vedi ta SCIOTT i !!! … )
Es geht übrigens noch einfacher: Das Gemüse trocknen und dann zusammen mit Salz im Vitamix zerstäuben. Da bleibt einem das Gehampel mit dem nassen Klumpatsch erspart Außerdem kann man auf diese Weise einfach Gemüsereste – also Teile, die man nicht isst, die aber trotzdem okay sind, wie z.B. Blumenkohl-Grün oder Kohlrabi-Schalen – immer in Portionen trocknen und verwahren, bis man genug für ein Salz hat.